Allora si definivano Case per Ferie “i complessi ricettivi stabili sommariamente attrezzati per ospitare, in periodi determinati, i dipendenti di amministrazioni o aziende pubbliche o private e i soci di associazioni ed organizzazioni aventi esclusivo fine di assistenza sociale.” L’apertura e l’esercizio erano, come anche oggi, subordinati ad autorizzazione amministrativa nonché all’osservanza delle disposizioni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931, n° 773. Il D.P.R. 20 giugno 1961, n° 869 fissava le norme di attuazione della legge n° 326/58 recante la disciplina dei complessi ricettivi complementari a carattere turistico-sociale.
E’ bene precisare che i provvedimenti amministrativi di tipo autorizzatorio legittimano l’esercizio di diritti che già in astratto fanno parte della sfera giuridica dei privati; ciò nonostante, tali diritti non sono immediatamente esercitabili poiché sussiste un interesse pubblico alla verifica preventiva di requisiti e di presupposti per un esercizio conforme alla legge vigente dei diritti stessi.
Già agli inizi degli anni ‘60 si richiedevano, tra gli altri, alcuni requisiti che ancora oggi, con maggiore dettaglio, sono previsti dalla vigente normativa e ad esempio:
• I complessi ricettivi complementari a carattere turistico-sociale dovevano avere un'attrezzatura particolare in relazione alle caratteristiche della categoria di complesso d’appartenenza (Casa per Ferie, campeggio, ostello per la gioventù); • l'attrezzatura, proporzionata alla capacità ricettiva doveva essere, qualitativamente, adeguata alla categoria di persone che i complessi erano destinati, in via normale, ad ospitare; • i complessi ricettivi dovevano tenere esposte al pubblico le tariffe dei vari prezzi comprensivi del servizio e di altri eventuali oneri; • non era consentita la promiscuità dell'attività di azienda alberghiera con quella di complesso ricettivo complementare.
La norma originaria prevedeva che le Case per Ferie potessero “ospitare soltanto i dipendenti di amministrazioni o aziende pubbliche o private od i soci di associazioni ed organizzazioni aventi esclusivo fine di assistenza sociale, nonché le persone appartenenti al nucleo familiare dei dipendenti e dei soci medesimi.”. Particolare attenzione merita la previsione di cui all’art.12, V co., del D.P.R. n° 869/61 ove veniva letteralmente prescritto che “Nel provvedimento del Prefetto, che autorizza l'apertura e l'esercizio delle Case per Ferie, deve risultare l'indicazione dell'Amministrazione, azienda, associazione od organizzazione per i cui dipendenti o soci e rispettivi nuclei familiari è consentita l'ospitalità.”. Inoltre l’art. 13 II co., lett. b), dello stesso D.P.R., disponeva l’obbligo per i gestori di Case per Ferie di annotare sulle schede di notificazione di cui all’art. 109 del T.U.L.P.S. gli estremi del documento, riferito all’ospite, da cui risultava l'Amministrazione, l'azienda, l'associazione e l'organizzazione di cui l'ospite medesimo faceva parte. Conseguentemente l’attività di vigilanza sulle Case per Ferie era svolta al fine di accertare, precipuamente, in ogni tempo che vi si ospitassero solo ed esclusivamente le categorie di soggetti previsti dalla legge oltre che verificare in generale il permanere dei requisiti necessari al rilascio dell’autorizzazione amministrativa.
Tuttavia, interpretando restrittivamente la vecchia normativa emerge che gli Enti Religiosi non erano individuati dal legislatore quali possibili gestori di Case per Ferie. Ma allora se così fosse quid iuris? A parte le autorizzazioni provvisorie rilasciate, in via assolutamente eccezionale, agli Istituti Religiosi in occasione dell’anno Giubilare del 1975! Così, successivamente, atteso l’emergere del fenomeno dell’accoglienza nell’ambito degli Istituti Religiosi, in occasione della emanazione della legge 17 maggio 1983, n° 217, si coniava l’attuale tipologia di Casa per Ferie così come ancora oggi, tranne adattamenti a particolari diversità dettate da esigenze avvertite a livello locale, risulta recepita nella legislazione regionale vigente. Infatti l’art. 6 della legge quadro dell’’83 descriveva le Case per Ferie come “strutture ricettive attrezzate per il soggiorno di persone o gruppi e gestite, al di fuori di normali canali commerciali, da enti pubblici, associazioni o enti religiosi operanti senza fine di lucro per il conseguimento di finalità sociali, culturali, assistenziali, religiose, o sportive, nonché da enti o aziende per il soggiorno dei propri dipendenti e loro familiari.”. Dobbiamo evidenziare che, diversamente dalla precedente normativa, ora non si parla più di strutture sommariamente attrezzate, ma, semplicemente, di strutture ricettive attrezzate per il soggiorno di persone o gruppi; quindi adattandone i vari standard alle diverse specifiche tipologie di utenti e alle esigenze poste dalla stessa ubicazione delle Case per Ferie in relazione ai servizi esistenti sul territorio circostante. Ciò comporta che la Casa per Ferie non avrà un allestimento di scarsa qualità, bensì, differentemente dalle strutture ricettive imprenditoriali, si caratterizzerà nell’ambiente per la cura e l’attenzione che l’Ente non-profit gestore vorrà esteriorizzare attraverso le dotazioni e i servizi offerti (predisponendo, se ritenuto opportuno e in alcuni casi per espressa previsione della legislazione regionale, un regolamento interno la cui osservanza da parte degli ospiti possa garantire il pieno rispetto delle esigenze e del contesto di realtà rappresentati dall’ente ecclesiastico gestore).
E’ bene sottolineare il presupposto di base consistente nell’assenza dello scopo di lucro in tali tipologie ricettive, così da renderne compatibile la gestione in armonia con le precipue finalità degli enti ecclesiastici giuridicamente riconosciuti agli effetti civili. In tale panorama normativo, con particolare riferimento alle Case per Ferie, emerge l’insussistenza di una corrispondenza biunivoca tra la nozione di impresa turistica e quella di attività ricettiva. Infatti basta osservare da una parte che in base alla definizione di impresa turistica che dava l’art. 5 della legge n° 217/83, la stessa veniva individuata, sic et simpliciter, fra “quelle che svolgono attività di gestione di strutture ricettive ed annessi servizi turistici” e dall’altra che ciò non può essere vero con riguardo alle Case per Ferie, vista la particolarità dei possibili soggetti gestori e la totale esclusione di ogni e qualsivoglia fine di lucro.
Tale orientamento ha seguito il legislatore nella successiva legge di riforma n° 135 del 29 marzo 2001 e relativo D.P.C.M. 13 settembre 2002 inerente il recepimento dell’accordo fra lo Stato, le regioni e le provincie autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico ove si legittima, ancora e inequivocabilmente, l’esistenza di “attività ricettive gestite senza fine di lucro”, naturalmente non soggette all’obbligo di iscrizione al registro delle imprese di cui alla legge 29/12/1993, n° 580. Ciò posto, si osservi come l’attività ricettiva di Casa per Ferie condotta dalle “associazioni senza scopo di lucro, che operino per finalità ricreative, culturali, religiose e sociali” di cui all’art. 7, IX co., legge n° 135/01, non si configura come impresa turistica, come anche, mutatis mutandi, disciplinava l’art. 10 della legge n° 217/83 (abrogata dall'art. 11, co. VI, legge 29 marzo 2001, n° 135 con decorrenza a far data dall’entrata in vigore del D.P.C.M. 13 settembre 2002), con riferimento alle sole associazioni nazionali, subordinando tale particolare disciplina derogatoria, giova ribadirlo, sia all’assenza di scopo di lucro, sia al requisito tassativo di riservare i servizi offerti, solo ed esclusivamente, ai propri aderenti e/o associati.
Da tale lettura della norma è pacifica l’esistenza della dicotomia che vede da una parte l’attività ricettiva di tipo imprenditoriale e dall’altra l’attività ricettiva non-profit; in tal senso le previsioni del D.P.C.M. 13 settembre 2002 emanato in attuazione dell’art. 2, IV co., della legge n° 135/01 che recita testualmente:
“omissis………le attività ricettive gestite senza scopo di lucro……… omissis………sono rappresentate dalle attività turistiche come sopra individuate svolte normalmente non in forma di impresa da singoli o da associazioni senza scopo di lucro”. Nel contesto della ricettività non-profit, in linea generale, il legislatore regionale, ha creato nell’argomento che ci occupa, a seconda delle tipicità territoriali, a mo’ di rapporto tra genus e species, nell’ambito della categoria generale delle Case per Ferie, delle sottotipologie come ad esempio le case religiose di ospitalità, gli studentati o pensionati universitari, le case di spiritualità o di preghiera, le case d’accoglienza e così via. Di conseguenza i soggetti gestori di case per ferie, pur vigendo la legge 25 agosto 1991, n° 284 concernente la liberalizzazione dei prezzi del settore turistico, dovranno, a mio modesto avviso, auto-calmierare ragionevolmente le proprie tariffe in considerazione della particolarità della loro specifica tipologia ricettiva caratterizzata dall’assenza totale di finalità aventi scopo di lucro. Ora, nel momento in cui, da più parti a opera degli operatori del settore, si auspicava una concreta omogeneizzazione e armonizzazione nella disciplina delle diverse tipologie ricettive ecco intervenire la riforma dell'art. 117 ad opera della Legge Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, ove è stabilito che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.”.
Perno della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, è il nuovo articolo 117 che, invertendo il precedente sistema fondato sulla centralità dei poteri in capo allo Stato, salve le specifiche competenze delle Regioni, fonda la regola della competenza "residuale" delle regioni per le materie che non sono attribuite alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.) ovvero che non rientrano nei casi di competenza concorrente tra Stato e regioni (art. 117, terzo comma, Cost.). Il carattere generale della potestà legislativa delle regioni è scolpito a chiare lettere dal successivo quarto comma, secondo il quale "spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Detto ciò la riforma del Titolo V della Costituzione introduce e sancisce l’attuale competenza esclusiva delle regioni in materia turistica.
In base alla precedente formulazione dell’art. 117 Cost. si poteva criticare la tecnica adottata dal legislatore nell’aver previsto, all’art. 2, IV co., legge n° 135/01, l’introduzione di principi fondamentali con una fonte di tipo regolamentare (D.P.C.M. 13/9/2002, recepimento dell’accordo fra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico) piuttosto che con una fonte di rango legislativo.
L’introduzione del nuovo art. 117 Cost., VI co., elimina ogni residua incertezza sancendo che la potestà regolamentare è prerogativa delle regioni, eccezion fatta per quelle materie di competenza legislativa esclusiva statale.
La potestà legislativa risulta dunque ripartita tra lo Stato e le Regioni in base al criterio della "materia" e a decorrere dall'entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, le regioni ben possono esercitare in materia di turismo tutte quelle attribuzioni di cui ritengano di essere titolari, approvando una disciplina legislativa, che può anche essere sostitutiva di quella statale (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 510 del 2002), fatto naturalmente salvo il potere governativo di ricorso previsto dall'art. 127 della Costituzione.
Il ruolo del legislatore statale nel nuovo sistema introdotto dal Titolo V, infatti, si legittima in tanto e in quanto realizza nell’ordinamento l’unificazione necessaria alla tenuta complessiva dell’ordinamento stesso e all’attuazione dei principi costituzionali che richiedono il suo intervento. Si legittima, in altri termini, ogni qual volta quei principi possano essere garantiti solo da un intervento legislativo dal “centro” (libertà personale, di circolazione, di religione, pubblica sicurezza e via dicendo) ovvero ogni qual volta vi sia necessità di regole o standard di garanzia dei “livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
La funzione unificante assegnata al legislatore nazionale muta qualitativamente la natura degli atti legislativi da esso adottati. Sembra pertanto preferibile la tesi alternativa che, in una visione dinamica dei rapporti Stato-Regioni, rimette alle concrete iniziative degli stessi soggetti istituzionali la definizione dei limiti delle rispettive competenze, in un sistema elastico e pragmatico. L'acquiescenza alle iniziative normative di ciascuno avrà il significato implicito del riconoscimento della competenza.
In questo quadro, limitare l'attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principî nelle materie di potestà concorrente, significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze. Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l'ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principî giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica (cfr. sentenza Corte Costituzionale I ottobre 2003, n° 303) . Passando dagli aspetti sovra illustrati, di ordine più squisitamente giuridico che pratico, ritengo utile fare alcune sintetiche considerazioni relativamente alla disciplina amministrativa delle case per ferie. Preliminarmente, ribadito l’assunto che per l’attivazione di un’attività ricettiva di Casa per Ferie è richiesto l’ottenimento della relativa autorizzazione amministrativa, osserviamo che il legislatore, in tempi relativamente recenti, con D.Lgs. 30/12/1999, n° 507, art. 82, aveva modificato l’art. 12 della legge 21 marzo 1958, n° 326, prescrivendo sempre la sanzione immediata consistente nella cessazione dell'attività in caso di esercizio svolto in difetto di autorizzazione.
Particolare attenzione gli enti gestori dovranno porre al persistere dei requisiti oggettivi e soggettivi in costanza di attività; soprattutto nelle circostanze in cui intervengano ampliamenti della capacità ricettiva, volture, cambi di legale rappresentante e di gestore, cambi di denominazione e/o di insegna e ulteriori variazioni. In tali occasioni (esclusi i casi di ampliamento e/o riduzione della capacità ricettiva), di norma, il titolare, ricorrendone i presupposti, dovrà dichiarare di non aver modificato i locali precedentemente autorizzati, né alcuno degli elementi indicati nell’atto di autorizzazione originaria e, conseguentemente, l’ufficio competente valuterà ex novo la regolarità e il persistere dei requisiti anche e in considerazione dell’eventuale produzione normativa nel frattempo intervenuta. Comunque, con riferimento alla materia turistica, viste le intervenute modifiche costituzionali già doverosamente e ampiamente illustrate, si va delineando un panorama normativo ove nel diritto interno, in applicazione del principio di sussidiarietà e del federalismo amministrativo, si trasferisce alle regioni la competenza legislativa esclusiva, con le conseguenti variabili normative, talvolta sconcertanti, nel regolare fattispecie analoghe. Diversamente a livello comunitario si avanzano esigenze di omogeneizzazione e armonizzazione sia per la tutela del turista-consumatore e sia per garantire il puntuale rispetto delle regole della concorrenza. De iure condendo l’Unione Europea probabilmente condizionerà, con gli strumenti suoi propri (raccomandazioni, direttive e regolamenti, questi ultimi immediatamente precettivi per ogni stato membro UE), la produzione normativa interna di settore, oggi di esclusiva competenza regionale, perseguendo l’obiettivo di assicurarne l’omogeneizzazione e l’armonizzazione, quindi dotando della stessa veste giuridica tipologie ricettive della stessa natura, pur tutelando le diverse specificità territoriali.
Nell’odierna realtà normativa l’apertura di una Casa per Ferie o di un’attività similare va concepita in base alla disciplina vigente a livello regionale, traendo da quest’ultima le indicazioni concernenti l’individuazione dettagliata degli adempimenti necessari all’ottenimento del rilascio del titolo autorizzativo. In base alle suesposte considerazioni le relative procedure amministrative, tendenti al rilascio delle autorizzazioni, potranno presentare anche delle sensibili diversità, sia formali e sia sostanziali che richiederanno, caso per caso, un approccio diretto e partecipativo con la Pubblica Amministrazione competente. In origine competente al rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio di attività ricettive, allora licenze di P.S., era il Questore ex art. 86 T.U.L.P.S.. Successivamente la competenza è stata attribuita ai Comuni ex art. 60, lett. c), D.P.R. n° 616/77, con riferimento ai rifugi alpini, ai campeggi e agli esercizi ricettivi extra-alberghieri di cui fanno parte le tipologie ricettive in interesse. Ora, nel momento in cui il cosìddetto modello autoritativo dei rapporti cittadinopubblica amministrazione viene sempre più sostituito dal cosìddetto modello negoziale, anche per la regolarizzazione amministrativa di tali attività ricettive alcune leggi regionali prevedono l’applicazione della procedura di D.I.A. (denuncia di inizio attività) a cui il soggetto titolare potrà prudentemente ricorrere, all’esito della diretta preventiva verifica circa la sussistenza dei prescritti requisiti, al fine di consentire il regolare perfezionamento del silenzio-assenso.
Dobbiamo sottolineare che ai sensi della normativa vigente (art. 20 della legge n° 241/90) e della giurisprudenza della Corte Costituzionale, le ipotesi di silenzio-assenso previste dall'ordinamento hanno carattere assolutamente eccezionale, avendo, di regola, l'Amministrazione l'obbligo di concludere il procedimento con un'espressa manifestazione di volontà e non potendo, in ogni caso, il predetto istituto essere applicato a fattispecie in cui sia fondamentale la concreta ponderazione da parte dell'Amministrazione dei diversi e molteplici interessi coinvolti nel procedimento. Ancora una volta, quindi, si dovrà fare riferimento alla specifica normativa regionale.
Dunque, in questo quadro che vede da una parte la regionalizzazione delle diverse tipologie ricettive e dall’altra l’esigenza, soprattutto in sede UE, di uniformarne le stesse diverse tipologie, più che in passato, le varie realtà associative, meglio se aventi carattere nazionale, potranno catalizzare, aggregare e concentrare le istanze rappresentate dai diversi soggetti gestori di attività ricettive e garantirne la presenza nelle opportune sedi istituzionali al fine di tutelarne le legittime aspettative con particolare riferimento alle gestioni non-profit, rivendicandone, altresì, anche il diritto a ricevere una specifica disciplina e regolamentazione.
Conclusivamente, visti i molteplici interessi che tale argomento solleva da più parti, si può ragionevolmente prevedere che, de iure condendo, la legislazione regionale andrà verso una diversificazione del regime amministrativo delle attività ricettive. E’ auspicabile, a tal punto, una produzione normativa, anche a livello regionale, tendente a favorire sviluppo e investimenti nel settore turistico-ricettivo garantendo, al contempo, una concorrenza regolata dalla legislazione regionale, sempre e comunque, nel rispetto della concertazione, delle intese, della lealtà e collaborazione, anche e soprattutto, tra le diverse regioni. In una prospettiva di frammentazione normativa molteplici dovranno essere gli sforzi per consolidare e sempre più specificare la tipicità delle attività ricettive gestite dalle associazioni senza scopo di lucro, per scongiurare il rischio di assimilazione ad altre realtà operanti nel settore turistico-ricettivo.
Infatti, la definizione di confini certi e sicuri per le attività di accoglienza in argomento, se da un lato può irrigidire le potenziali categorie dei flussi di utenza, dall’altro scongiura insidiose e possibili assimilazioni alle diverse attività ricettive convenzionali. Per concludere, in ambito UE dovranno anche rappresentarsi le istanze unitarie di settore attraverso i vari canali istituzionali per disciplinare, tutelare e promuovere, anche nel mercato europeo, il turismo di “nicchia” rappresentato dall’accoglienza gestita senza scopo di lucro dai diversi soggetti all’uopo legittimati.